Mafia: ex ministro Mancino indagato per falsa testimonianza

9 giu. – L’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e’ stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Palermo, con l’ipotesi di falsa testimonianza. La decisione e’ stata adottata dai magistrati del pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, alla vigilia della chiusura dell’indagine sulla presunta trattativa tra Stato e mafia.

Tutte le posizioni dei nove personaggi sotto indagine sono ancora al vaglio dei pm: da stabilire infatti, spiega la procura (che conferma le indiscrezioni trapelate oggi in alcuni quotidiani) quale sara’, per ciascuno dei coinvolti, l’imputazione finale. Si va da un ventaglio di ipotesi di reato che, oltre alla falsa testimonianza, abbracciano il favoreggiamento aggravato, il concorso nella violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o – ipotesi estrema – il concorso in associazione mafiosa.

Nell’indagine sono coinvolti i generali Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex tenente colonnello Giuseppe De Donno, l’ex ministro dc Calogero Mannino, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, i boss Toto’ Riina, Bernardo Provenzano e Nino Cina’. E ora anche Mancino, il cui ruolo fino a questo momento e’ considerato relativamente secondario.

Proprio ieri, poi, e’ stato riascoltato come teste, dai pm del pool, un altro ex ministro dell’Interno, Vincenzo Scotti, a proposito di alcuni fatti da lui raccontati nel recente libro “Pax mafiosa o guerra?”, e per altre circostanze raccolte dai magistrati negli ultimi giorni. Obiettivo dell’accusa, chiarire le ragioni del siluramento del “duro” Scotti, sostituito al Viminale, nei giorni caldi del ’92, tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, proprio da Mancino.

La posizione dell’ex vicepresidente del Csm e’ cambiata, nelle ultime settimane, dopo che lo stesso ex presidente del Senato aveva deposto al processo Mori, il 24 febbraio scorso. Sapeva o no, Mancino, dei contatti fra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino e ne conosceva le finalita’? Secondo i magistrati, si’: e lo scopo era cedere al ricatto dei boss e offrire loro impunita’, in cambio della rinuncia all’aggressione terroristica e ai progettati omicidi di uomini politici.

Fra coloro che dovevano cadere e che furono risparmiati, Calogero Mannino. Mancino era entrato anche in contrasto con l’ex guardasigilli Claudio Martelli, che aveva piu’ volte ribadito di essersi lamentato con lui del comportamento del Ros. L’ex titolare del Viminale aveva sempre escluso anche di avere incontrato Paolo Borsellino, il giorno del suo insediamento al Viminale, il primo luglio 1992. Al processo Mori aveva fatto una parziale correzione di rotta. Ma non aveva saputo spiegare perche’, nel ’93, lo Stato rispose alle bombe di Roma, Firenze e Milano facendo togliere il carcere duro a circa 500 mafiosi. agi

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