Concorrenza (sleale) asiatica: Che i nostri guai vengano da Pechino?

di Vincenzo Merlo

4 luglio – Che la concorrenza (sleale) asiatica, in particolar modo cinese, sia deleteria per l’apparato produttivo industriale dei Paesi occidentali, e’ acclarato da anni e costituisce, per molti osservatori, uno dei motivi scatenanti l’attuale crisi finanziaria globale.

I prodotti di queste nazioni hanno invaso da anni i nostri mercati ( soprattutto nell’ambito manifatturiero), in virtù di prezzi estremamente contenuti, frutto delle precarie condizioni in cui vengono tenuti i lavoratori asiatici: orari di lavoro massacranti, scarsissime tutele previdenziali, limitazione dei diritti ( per non parlare dell’infamia dei Laogai cinesi, moderni campi di concentramento in cui milioni di oppositori al regime vengono schiavizzati). Tutto ciò costituisce le fondamenta su cui si basa il ” successo” economico di molti Paesi asiatici “emergenti”; tra questi, come si diceva, primeggia la Cina, che con il suo modello ” capital- comunista” ( un miscela venefica del peggior capitalismo “manchesteriano” e del totalitarismo ” falce e martello” più oppressivo), sta da anni ponendosi come antagonista alle economie occidentali, le cui imprese manifatturiere ( ma non solo!) sono state ormai distrutte da questa concorrenza.

Alla luce di questa situazione, invece di chiedere alla Cina il rispetto dei più elementari diritti dell’uomo e dei lavoratori, i governanti occidentali ( in particolre gli europei), hanno commesso errori macroscopici, a partire dall’accettazione supina, e senza contropartite, dell’ingresso della potenza cinese nell’Organizzazione mondiale del commercio, il WTO.

E come non riconoscere che tutte le misure prese ultimamente dai governi occidentali per ” risanare” le proprie economie vanno esattamente nella nefasta direzione di una contrazione dei diritti dei lavoratori, di un abnorme ed ingiusto allungamento della vita lavorativa, di una intensificazione dei ritmi di lavoro, insomma di una prospettiva più vicina al modello cinese sopra descritto? Invece di occidentalizzare l’Asia , proponendo i nostri modelli di capitalismo ” temperato” e rispettoso dei diritti, stiamo finendo per l’esserne travolti?

Come e’ possibile che velocemente stiamo cambiando in peggio il nostro modo di vivere? Il tutto avvenendo peraltro nella sostanziale indifferenza dei media e degli operatori politici ed economici, spesso interessati più a “fare affari” con questi Paesi che non a proporre una visione di insieme che valorizzi il nostro modo di essere e produrre.

In questo panorama assolutamente preoccupante, ho trovato interessante quanto sostenuto dall’economista Gotti Tedeschi , che durante il suo mandato di presidente dello Ior ha espresso al Vaticano, in piu’ occasioni, il suo pensiero. Nel giugno 2011 ha scritto: ” La crisi economica in corso e le conseguenze dello squilibrato processo di globalizzazione che ha forzato la delocalizzazione accelerata di molte attività produttive, ha trasformato il mondo in due aree economiche: i paesi occidentali ( Usa ed Europa) consumatori e sempre meno produttori e i paesi orientali produttori e non ancora equilibratamente consumatori.

Questo processo ha conseguentemente creato un conflitto fra le tre funzioni economiche dell’uomo occidentale: quella di lavoratore e produttore di reddito, quella di consumatore di beni per lui più convenienti, quella di risparmiatore e investitore (…). Il paradosso che si evince e’ che l’uomo occidentale produce ancora reddito lavorando in imprese domestiche, ma sempre meno competitive e perciò a rischio di instabilità. Compra i beni più competitivi, prodotti altrove. Investe in imprese non domestiche, in paesi in cui l’economia cresce perché si produce.

In pratica, rafforza imprese che creano occupazione altrove e persino competono con quella dove lui lavora. Finche detto uomo resta senza lavoro, non puo’ consumare più e tantomeno risparmiare.” ” Questo conflitto , non gestito- prosegue Gotti Tedeschi- sta provocando una crisi strutturale nell’economia del mondo occidentale ex ricco. (…)

In pratica, grazie al processo di delocalizzazione, la ricchezza si sta trasferendo dall’Occidente cristiano all’Oriente da cristianizzare. In specifico, in Occidente ciò comporta:

  • 1) minor sviluppo economico, minori redditi, minori risparmi, minori rendimenti degli investimenti locali ecc;
  • 2) maggior conseguente ruolo dello Stato nell’economia, maggiore spesa pubblica e maggiori costi”.

Quelle di Gotti Tedeschi sono parole che devono far riflettere, perché colgono l’origine principale ( insieme alla finanziarizzazione dell’economia, determinata dalla nefasta disinvoltura di troppe banche) della crisi economica che da anni sta attanagliando il pianeta.

Vincenzo Merlo

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