Giustizia, tutte le menzogne nel dibattito sulla prescrizione

di Dimitri Buffa

Mentire sapendo di mentire”. E di mentine. Il dibattito governativo sulla prescrizione come causa di tutti i mali della giustizia italiana si esaurisce in questa definizione. E l’attuale atmosfera interna e internazionale purtroppo “aiutano”. Poi però basta sentire alla Radio (Radicale) l’avvocato Valerio Spigarelli, già per due mandati alla presidenza delle Camere penali italiane – il quale intervistato dalla brava Lorena D’Urso non fa che snocciolare i dati messi a disposizione dallo stesso ministero di via Arenula – per rendersi conto che la situazione è grave ma non seria. Per prima cosa si ribadisce che oltre il 65 per cento delle prescrizioni avviene nella fase preliminare delle indagini e più del 50 per cento di questa fetta nelle segrete stanze del pm quando chi è indagato neppure sa di esserlo.

Quindi, a che diamine servirebbe sospendere la prescrizione dopo il primo grado? Poi si scopre che la prescrizione riguarda praticamente solo i reati bagatellari, quelli che si prescrivono entro sette anni e mezzo e che prevedono pene massime fino a cinque anni, e che i reati seri, tra cui sequestri, omicidi, traffici internazionali di droga e esseri umani, si prescrivono in periodi superiori ai 25 anni e quindi quasi mai. Quasi, perché c’è sempre un’eccezione, determinata dall’inerzia della magistratura non certo dall’ostruzionismo degli avvocati, e infatti questi casi finiscono ovviamente sui giornali. Come quello di Viareggio o quello della Thyssen.

Poi ancora si scopre che da dieci anni a questa parte la prescrizione è diminuita del 58 per cento e infine che la maggior parte dei casi sono localizzati in quattro distretti di corte d’appello. Roma, Napoli, Torino e Venezia. Perché? Non lo sa nessuno, ma si ipotizzano organizzazioni del lavoro assai carenti nei tribunali e nelle corti di appello di queste città. Totale?

La mossa del ministro Alfonso Bonafede si rivela per quello che è: inutile, propagandistica e dannosa. Però i giornalisti – che si lamentano di essere definiti “infami” e “puttane” dagli esponenti del partito del Guardasigilli – continuano ad invitare Bonafede ai dibattiti da operetta dei talk-show per fargli scandire slogan da massaia con le sporte sul 64 barrato. Come “chi sbaglia paga”, “certezza della pena”, e – “last but not least”- il bracardiano urlo liberatorio: “In galera”. Si può andare avanti in Italia con la politica che vive in questo tipo di menzogne? È utile? Ci porterà del bene? Vale la pena di votare i partiti che ci sguazzano? Che a volte candidano anche giornalisti sospetti di opportunismo salvo definirli nella maniera su citata? Ai lettori e agli elettori l’ardua sentenza. Ma è così ardua?

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