Comunismo: la più grande e tragica esperienza del Novecento

Marcello Veneziani traccia un bilancio sul comunismo in questo estratto da “Tramonti”

Cosa resta del comunismo a un secolo dalla sua nascita? Il nulla. Settantacinque anni di storia mondiale, un’espansione intercontinentale senza precedenti che ha superato per quantità di adepti, vittime e sudditi, tutte le religioni del pianeta in una ramificazione ideologica, intellettuale, politica senza precedenti. E un perdurante comunismo strisciante o geneticamente modificato in molti Paesi, dalla Cina a Cuba, all’Occidente. Cent’anni fa il comunismo andò al potere con la rivoluzione bolscevica.

Il comunismo è stato per durata, ampiezza e vastità di popoli e continenti coinvolti, la più grande e più tragica esperienza del Novecento. È stata anche la più grande speranza terrena, storica, che si è poi rivelata illusoria e catastrofica. Grandi paesi come la Russia e la Cina, buona parte del sud-est asiatico, mezza Europa orientale, alcuni paesi dell’Africa e dell’America latina sono stati investiti dal comunismo. Eppure a pochi anni dalla fine dell’impero sovietico e dei paesi satelliti, nonché dalla fine dei partiti comunisti occidentali, la memoria del comunismo è sfuocata, come se appartenesse a secoli remoti, diventa vintage, utopia e archeologia.

Si parla infinitamente più di nazismo e di fascismo, benché la storia di quei regimi risalga alla prima metà del secolo, si chiuda quasi mezzo secolo prima del comunismo e riempia solo un ventennio o poco più della storia di singoli paesi. Quando si parla del comunismo prevale l’uso di riferimenti parziali o derivati diversamente nominati; ad esempio quando si parla di totalitarismi, il riferimento d’obbligo e sostitutivo è allo stalinismo, più raramente al maoismo. Raramente si usa parlare di comunismo – soprattutto a proposito di terrore e totalitarismo, deportazione e repressione – come se si volesse salvare l’immacolata purezza dell’idea dagli orrori della storia.

Una sintesi esplicita di questa distinzione la esprime uno dei più lucidi teorici dell’italo-comunismo, Mario Tronti: “I cosiddetti regimi comunisti non erano regimi comunisti, ma qualche cosa che dobbiamo ancora definire”. Dove c’è il male non può esservi comunismo ma deviazione… C’è una vasta letteratura politica e ideologica che ripete questa distinzione tra gli errori storici del comunismo e l’essenza ideale del comunismo ancora da inverare. I vari comunismi sparsi nel mondo e nel tempo sarebbero dunque tutti surrogati, forme abusive, esperimenti traviati, illusioni ottiche, imposture o sostituzioni di regimi, disguidi e tradimenti. Il comunismo resta così una magnifica promessa che splende nell’alto dei cieli, non ancora incarnata nella storia; non va sporcata col sangue delle vittime né col fango delle sue storiche realizzazioni.

Solzenicyn avvertiva: “Hanno inventato il termine stalinismo. Ma non c’è mai stato nessuno stalinismo. Fu un’invenzione di Krusciov per attribuire a Stalin quelli che sono invece i caratteri fondamentali del comunismo, le sue colpe congenite. In realtà aveva già detto tutto Lenin”. Lo stalinismo è qualcosa di più del capro espiatorio, ha sul piano storico la funzione della bad company nel sistema aziendale neocapitalistico: assorbe le negatività di un’ideologia, scarica i suoi debiti e le sue sofferenze in una bara fiscale, e così salva l’impresa.

MV, Tramonti, Giubilei Regnani, 2017

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