Aldo Grandi: sospeso, ma non arreso

Aldo Grandi, l’incorreggibile. Amato o odiato. Non ci sono vie di mezzo. E’ lo storico che ha scritto 12 saggi molto apprezzati, il giornalista alieno in terra di provincia un po’ sonnacchiosa e sempre prona ai poteri forti e piccolini, quello che se ne frega di tenersi buono anche chi gli può servire e che ti manda al diavolo in un amen. Senza Aldo Lucca sarebbe sicuramente molto più noiosa, ma intanto la sospensione dall’Ordine se l’è beccata e lui morde il freno. Nel countdown in prima pagina conta i giorni, le ore, i minuti e i secondi che lo separano dal gran ritorno. Dal momento in cui potrà tornare a fare le pulci a tutti e allora sarà bene non trovarsi sul suo cammino. La seguente intervista non è in contrasto con le regole della sospensione.

Aldo Grandi, andiamo subito al sodo: la sospensione, ancora per due mesi. Perché non ti rilassi e non te ne vai al mare, anziché fremere come un leone in gabbia?

Al mare ci vado, in genere il pomeriggio, sulle spiagge della Versilia. Poche volte fino ad oggi, vedremo di aumentarle questo mese. Un leone in gabbia? Mi viene in mente la definizione affibbiata a coloro che, sui social, se la prendono con i rappresentanti del Pensiero Unico Dominante: leoni da tastiera, come a dire bravi dietro la tastiera a gridare e a criticare, molto meno dopo, quando vengono scoperti. Io non mi sento un leone da tastiera anche perché, perdonami, avrei potuto evitare la sospensione semplicemente recandomi a Roma presso l’ordine dei giornalisti e comunicare l’esistenza di un procedimento penale intentato contro di me sempre da Laura Boldrini. Al contrario ho accettato la decisione di sospendermi proprio per dimostrare che di leoni dietro le tastiere, a queste latitudini, non ce ne sono. Il leone, poi, per me, che sono nato il 26 luglio e, quindi, zodiacalmente parlando, leone vero e proprio, è simbolo di libertà e indomabilità.

Un accenno di scuse, un pentimento, per quella frase oggettivamente sbagliata contro la Boldrini, no, eh?

Nessuna scusa. Se si legge l’articolo si capisce benissimo la metafora del male incurabile. Io, personalmente, non ho niente contro la ex presidente della Camera, ma non posso non rilevare come, sin dall’inizio del suo mandato, ha fatto di tutto per far sentire gli italiani cittadini di serie B e badi bene che gli italiani non sono mai stati razzisti, sin dai tempi delle guerre coloniali o durante l’invasione dell’Unione Sovietica. Se andiamo a leggere ciò che ripetutamente la Boldrini ha dichiarato, ci rendiamo perfettamente conto di come abbia fatto molto per demolire non soltanto la nostra identità nazionale, ma anche il linguaggio che, al pari della moneta, costituisce uno dei capisaldi per la caratterizzazione di un popolo. La Boldrini ha proposto di abbattere i simboli del fascismo, senza rendersi conto che questo Paese non procede perché siamo ancora fermi all’antifascismo di ottanta anni fa. La Boldrini e i suoi discepoli, rappresentanti del Pensiero Unico Dominante, non pensano nemmeno lontanamente che il passato di un Paese, seppure nefasto, fa parte della sua storia e, come tale, deve essere avvertito e metabolizzato oltreché compreso. Non è con l’abbattimento dei simboli che si ottiene questo risultato.

Ma pensi davvero di continuare con un giornalismo fatto di sciabolate, che, peraltro, anche se non a Lucca, va molto di moda, o mitigherai i toni?

Non vedo per quale ragione dovrei smettere. Mi possono sospendere, denunciare, calunniare, offendere e anche prendermi a pugni e calci, ma non potranno mai impedirmi di esercitare liberamente il mio pensiero e la mia critica. Del resto ci sono abituato: quando uscivano i miei libri sull’estremismo di sinistra e le Brigate Rosse, mi davano del brigatista o del simpatizzante di sinistra, quando, invece, pubblicavo i libri sulla storia del fascismo, ecco che diventavo, irrimediabilmente, un seguace di Mussolini. Ho lasciato un posto sicuro presso un quotidiano nazionale a 3 mila 400 euro al mese e nessun problema aggiunto. Mi ritrovo con un’ impresa ai limiti del suicidio con la necessità di trovare pubblicità per poter continuare a pubblicare e, soprattutto, con colleghi che, seppure cancellatisi dall’ordine professionale, presentano esposti contro di me. Senza trascurare le querele per diffamazione, ormai non le conto nemmeno più. La soddisfazione, però, di poter fare un giornalismo veramente libero, non ha prezzo, oltre al non dover dire sempre di sì anche a chi, professionalmente, non lo meriterebbe.

Politica. Come giudichi questo governo osteggiato ancora prima che nascesse?

Questo è stato, comunque lo si voglia guardare, un governo di rottura posto in essere dalle due forze politiche maggiormente critiche verso il Transatlantico e Montecitorio e i suoi ospiti stipendiati a 12 mila euro al mese. E’ indubbiamente un governo populista, ma che rappresenta, almeno per ora, la maggior parte degli italiani e poiché il popolo è sovrano ed esercita la sovranità per mezzo dei suoi rappresentanti, non si capisce per quale motivo la sinistra e gli ambienti intellettuali e radical chic-choc debbano avvertirlo come un pericolo e combatterlo definendolo razzista, fascista, populista e via dicendo. La realtà è un’altra: la sinistra è ancora legata a una visione leninista del potere, dove un gruppo di militanti, l’avanguardia delle masse, tali masse vuole gestire e dirigere, con il risultato che qualunque visione differente è interpretata come una minaccia all’esistenza stessa del potere. Si sciacquano la bocca con la parola democrazia, ma sono i primi ad averne paura poiché non riescono a concepire che anche le masse possono avere delle opinioni e dei desiderata. Da qui la drammatica lontananza tra la classe dirigente e il popolo. Tra Lega e Cinquestelle ci sono molte divergenze, ma smussando gli angoli, qualcosa forse può nascere di buono a cominciare da una recuperata dignità sul fronte internazionale.

Entriamo nel dettaglio. Lega, 5 Stelle, Pd, Forza Italia. Un tuo giudizio sul presente e sul futuro di ciascuno di questi gruppi politici.

Mi ha colpito il gesto di Alberto Baccini, ex sindaco di Porcari, in quota Pd e seguace di Matteo Renzi. Si è dimesso dal partito e ha restituito la tessera aggiungendo che, a suo avviso, il Pd è diventato un brand negativo. Credo che il Pd, un po’ per colpa di Renzi e un po’ per responsabilità interne, sia alla frutta, ma la ragione principale è la sua incapacità di comprendere le reali esigenze di quei ceti popolari e medi che non si sentono per nulla tutelati da una politica che sembra privilegiare soltanto le minoranze trascurando la maggioranza degli italiani. I pentastellati sono un movimento destinato a sgonfiarsi e questo perché, al suo interno, la competenza è, sovente, un optional e le simpatie politiche si dividono tra una robusta fetta che guarda a sinistra e l’altra che non vede di buon occhio la politica. Forza Italia? Il partito di una mummia che ha avuto il Paese in mano per vent’anni e non è stato capace di produrre alcunché di serio se non le sue storie sotto le lenzuola. I seguaci di Forza Italia, i suoi amministratori, i suoi deputati e senatori si identificano con Silvio Berlusconi e da lui dipendono. Ha un senso questo comportamento? Forza Italia non ha futuro. Quanto alla Lega, adesso è diventata molto più strutturata e meno approssimativa rispetto a quando c’era Umberto Bossi che ha procurato più danni che altro. Salvini ha avuto il merito di fuoriuscire dal ghetto del separatismo e dell’autonomia per assurgere a ruolo di difensore dell’identità nazionale. Pazzesco se si pensa a cosa sosteneva la Lega Nord. A difendere l’Italia, è -incredibile, ma è così – è rimasto il partito più separatista di tutti. Salvini ha capito quali sono le esigenze del ceto medio devastato dalla crisi economica: sicurezza e identità, il bisogno, cioè, di sentirsi protetti e non abbandonati al mondialismo degli organismi sovranazionali.

Salvini è davvero l’uomo forte che l’Italia aspettava? O anche lui a tuo avviso deve scendere a patti e compromessi e, come dicono i suoi detrattori, fa solo propaganda?

La sinistra, con Renzi, ha avuto, come Berlusconi anni fa, l’Italia in mano, ma non è stata capace di legarsi ai bisogni della gente, proprio perché, da sempre, essa è stata l’antistato per antonomasia. Il futuro di questo Paese e dell’Occidente e della sua civiltà si gioca sul fronte dell’invasione e della sostituzione etnica cui siamo costretti da una classe dirigente di usurpatori e di traditori, che non capisce né vuole ammettere che il potere che ha gli deriva dal popolo, unico proprietario dei confini e del territorio, un popolo cresciuto nei secoli attraverso sofferenze, tragedie, gioie e distruzioni. Gli italiani sono diventati tali a seguito di un processo storico durato secoli. Adesso arrivano questi Soloni verniciati di rosso che pretendono di far digerire al popolo ogni loro imposizione a cominciare dall’occupazione da parte di altri popoli con usi e costumi oltreché storia e religioni completamente differenti. Ma se qualcuno si azzarda a dire queste cose, ecco che viene tacciato di razzismo e fascismo. Ebbene, come diceva Ida Magli, gli italiani vengono visti male a Strasburgo e nelle assise del laboratorio della Distruzione perché sono ingestibili, indipendenti, insofferenti, in una parola anarchia allo stato puro o quasi.

Torniamo sul personale. I tuoi collaboratori ti adorano, anche se li fai impazzire. Ti hanno dedicato una parafrasi della canzone di Mina: “Grandi Grandi Grandi” , in cui non ti risparmiano critiche, ma che trabocca di affetto. Qual è il tuo segreto per farti benvolere?

Uno dei maggiori problemi di questa epoca è la paura di doversi affidare a qualcuno nel senso che la mediocrazia sta cercando, e ci è quasi riuscita, di condurre tutti verso una omologazione massiccia, una omogeneizzazione di massa, un livellamento verso il basso in nome di un principio di eguaglianza che fa a cazzotti con quello del buonsenso e dell’evidenza. Verba docent, exempla trahunt: le parole insegnano, gli esempi trascinano. Io credo, e questo sin da quando frequentavo l’università, che i rapporti umani siano alla base del successo di una iniziativa, di una collaborazione, di qualsiasi tentativo di emergere dalla mediocrità. L’uomo è un animale intelligente, ma che ha bisogno di sentimento e di emozioni. La nostra società tende a distruggere l’individuo per poterlo gestire meglio, mentre ciò in cui io credo è l’opposto: l’individuo è al centro di ogni rapporto e se vuoi che qualcuno ti segua, devi dimostrare di essere credibile, di saper dare i giusti meriti e di riconoscere le qualità di chi ti sta vicino. Io non ho un segreto, però tutti quelli che hanno lavorato con me alle Gazzette, ricordano questa esperienza come una grande occasione di crescita umana e professionale.

Una cosa che hai fatto e che non rifaresti più. Professionalmente, s’intende.

Tutto ciò che ho fatto lo rifarei. Casomai potrei pentirmi di non aver fatto qualcosa, ma, ad essere sinceri, professionalmente ho sempre fatto quel che desideravo ed è per questo che sotto questo aspetto mi sento felice, poiché sono riuscito, negli anni, a conquistarmi il diritto a dire di no. E guarda che non è così scontato riuscirci anche in età adulta.

E, sempre professionalmente, una cosa che vorresti fare. Diciamo, il tuo sogno nel cassetto.

Vorrei far crescere le Gazzette senza dover fare ogni giorno i conti della serva. Vorrei che alcuni dei miei collaboratori potessero restare sempre con me, ma sono altrettanto felice quando qualcuno fa loro i complimenti per come sono stati guidati. In fondo è questo che uno lascia al mondo, il suo contributo.

So che sei un divoratore di saggi. Qual è l’ultimo libro che stai leggendo?

La lettura e lo studio sono due capacità che vanno esercitate, curate, affinate, migliorate. Solo se si legge si riesce anche, poi, a scrivere. E’ un esercizio costante che migliora come il vino, invecchiando, ma servono volontà, determinazione, carattere, resistenza e, sembrerà assurdo, un fisico di ferro. Quanto all’ultimo libro letto, ho divorato “Le diable du ciel”, in lingua originale, scritto da uno degli autori europei a mio avviso più interessanti degli ultimi decenni: Laurent Obertone. Di lui, in italiano, avevo letto “Guerriglia”, un libro straordinario ma politicamente non corretto e, quindi, bandito dai salotti della sinistra intellettuale a un tanto al chilo.

Cosa vuoi dire a chi ti avversa come fossi Satana?

Niente di particolare. Una volta, quando ero più giovane, cercavo in tutti i modi di piacere a tutti e se ciò non accadeva non riuscivo a farmene una ragione. Adesso non mi interessa più piacere a tutti, ma piacere a me stesso e a coloro che hanno voglia di andare oltre la superficie delle cose. Molti non mi conoscono, ma mi etichettano perché non riescono a definire con precisione certe caratteristiche. Questo è un mondo dove coloro che non appartengono a qualcuno o a qualcosa vengono guardati inevitabilmente con diffidenza e, a volte, anche disprezzo. Io sono sempre stato un provocatore, sin da quando, alla facoltà di scienze politiche dell’università La Sapienza di Roma, fondai un giornalino che si chiamava l’Oca Giuliva e, poi, Il Tartufo. L’unica eredità che il Sessantotto ci ha lasciato, ma che in troppi non riescono a gestire, è la capacità di dissacrare il potere. Si è persa questa capacità e coloro che una volta ne erano i promotori ed esecutori, hanno finito per diventare tra i più ligi alle direttive del potere costituito. Io non posso pretendere che la gente mi ami, vorrei però che l’eventuale odio arrivasse al termine di una analisi e di una conoscenza effettive.

Intervista al giornalista Aldo Grandi – di Barbara Pavarotti

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