Migranti, la UE accusa l’Italia: pochi rimpatri perché mancano “centri di detenzione”

“Pochi rimpatri? L’Italia guardi a sé stessa e faccia per prima la sua parte, realizzando i “centri di detenzione”. E’ questo il messaggio che arriva oggi dalla Commissione europea, per bocca del direttore alla Migrazione e protezione dell’esecutivo comunitario Laurent Muschel, intervenuto a margine della presentazione del Rapporto sui 10 anni di attività del European Migration Network.

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“Tutti gli Stati membri – ha affermato Muschel all’Ansa – rimpatriano verso il Bangladesh. I rimpatri dall’Italia verso Bangladesh, Pakistan o Afghanistan invece sono nulli perché mancano i centri di detenzione”.

La riforma del Regolamento di Dublino: “l’Italia non cambi strada”

Se il futuro governo del Belpaese viene invitato a fare di più sul fronte dei centri di detenzione, al tempo stesso non dovrebbe cambiare la barra sul timone che comanda la difficile riforma del Regolamento di Dublino, quello che definisce le pratiche per l’Asilo. Una modifica che, dopo l’approvazione da parte del Parlamento Ue nella direzione richiesta dal precedente governo, ma anche da gran parte dello scacchiere politico italiano (almeno quello di allora: i grillini votavano contro nella plenaria di Strasburgo di novembre mentre gli eurodeputati della Lega si astenevano), è rimasta arenata in Consiglio, con i 28 che non si mettono d’accordo.

“L’orologio corre – ha affermato sempre oggi intervenendo al medesimo evento il Commissario Ue agli interni Dimitris Avramopoulos – è tempo che gli stati membri si affrettino” a trovare una posizione comune sulla revisione del Regolamento di Dublino. Sulla riforma, ha insistito il Commissario, “il Parlamento europeo ha già espresso una posizione comune, ed è al fianco della Commissione. E’ arrivato il momento che anche i Paesi” trovino un accordo: “questo non risolve tutto, ma è una parte della soluzione”.

Proprio oggi la riunione degli ambasciatori dei 28 (Coreper) tornerà ad esaminare la proposta di accordo messa sul tavolo dalla presidenza di turno bulgara, che sta cercando di chiudere l’intesa entro fine giugno, un’operazione che fa fatica ad andare in porto per la negativa frontale dei paesi del gruppo di Visegrad, Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, e quella meno diretta ma comunque presente della Francia.

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