Reggio Emilia peggio della Calabria: in 9 giorni auto bruciate, morte e minacce

Vedi Reggio Emilia e poi muori. Peggio che Cutro o San Luca in Aspromonte: in 9 giorni 4 auto bruciate, un omicidio e una giornalista minacciata di morte.

Di Antonio Amorosi  – – www.affaritaliani.it

Vedi Reggio Emilia e poi muori.
Immaginate di aver finalmente messo da parte il gruzzoletto per farvi la casetta dei sogni, dopo anni di sacrifici e lavori anche di merda, in una vita precaria come è oggi in Italia. Non vi rimane che scegliere dove vivere. Magari siete del sud e non volete più sottoporvi più alla radiografia dei compaesani o sognato di aprirvi un’attività o trovare un lavoro al nord, senza dover pagare il pizzo, aver paura della criminalità organizzata che ti finisce con un proiettile vagante per strada guardando le vetrine o mentre rincasate.
Decidete che il vostro Eldorado è una bella cittadina dell’Emilia Romagna, la patria della buona amministrazione pubblica, magari è Reggio Emilia. Ricca e prosperosa vicino a tutto quello che si può desiderare.

E così siamo nel 2017, svegli come tutte le mattine per andare al lavoro. Ma oggi è un giorno diverso, vi incazzate e poi vi deprimete perché alla colazione al bar leggete sul giornale locale “una storia già vista”: “Sparatoria, morto cutrese di 31 anni, ecc…”
Voi riconoscete i sintomi, ma gli emiliani che vi stanno intorno ancora stentano a farlo. Siete fottuti. Poi capite che pur di lavorare e far soldi, hanno fatto il patto col diavolo. E altro che terra di partigiani e padri nobili. Ma oramai è troppo tardi. Il “terrone” siete sempre voi, i soldi li fanno loro e le pallottole sotto casa ve le dovete subire anche nella pianura padana e se non vi va bene c’è sempre un altro che aspetta di prendere il vostro posto.

L’incubo. Nessuno è al sicuro. Ora i reggiani hanno davvero paura. Reggio Emilia e la ‘ndrangheta

Nei luoghi in cui il Pd ha ancora maggioranze bulgare e le cooperative la fanno da padrone (oggi un po’ meno dopo i fallimenti di Unieco, Coop Sette e Cmr di Reggiolo) un’altra auto è andata in fiamme tre notti fa. Nel Comune di Cadelbosco di Sopra, alla porta nord di Reggio Emilia, una Mercedes classe A ha preso fuoco e non per “autocombustione”. L’auto, secondo fonti di polizia, appartiene alla cognata di Antonio Crivaro, imputato nel processo Aemilia, la prima grande inchiesta giudiziaria sulla ‘ndrangheta in Emilia Romagna e che si sta celebrando proprio a Reggio Emilia, anche se la presenza dei clan in zona è conclamata da 40 anni (secondo i dati del ministero dell’Interno e della Dia nazionale). Antonio Crivaro, cutrese arrestato la notte del 28 gennaio 2015 con l’accusa prevista dal 416 bis, associazione di stampo mafioso, per la Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna è considerato esperto di operazioni finanziarie e fideiussioni, operante a stretto contatto con Antonio Gualtieri, ritenuto uno dei capi della cosca emiliana.
Ma ora il territorio e clan che lo comandano non possono più parlare il linguaggio del riciclaggio e degli investimenti. Parlano il lingua del sangue e della guerriglia. Il processo Aemilia, arrestando alcuni capi, ha portato ad un vuoto di potere e quando c’è un vuoto, si sa, c’è sempre qualcuno che prova a riempirlo.

Ucciso un cutrese a Reggio Emilia

Nei giorni precedenti altre 3 auto sono state incendiate a Reggiolo, nella bassa reggiana. Da agosto scorso ad oggi le vetture in fiamme sono diventate 7. Uno di questi incendi, siamo a Villanova di Reggiolo, riguarda la Volkwagen Golf della moglie del 31enne Francesco Citro, originario di Cutro. Incensurato e senza legami con i clan. Aiutato da un amico, Citro va sotto casa con un estintore per spegnere le fiamme. Tre ore dopo sente dei forti rumori e prova a scendere per strada ma viene inseguito e freddato a colpi di pistola sul pianerottolo dell’abitazione. Rientra in casa, chiude la porta e muore.
Le modalità di esecuzione sembrano mostrare delle anomalie. Potrebbe essere altro. Ma si sa da tempo nella provincia di Reggio Emilia è meglio stare attenti alle pallottole volanti e alle auto bruciate.

La giornalista minacciata di morte a Reggio Emilia

Francesca Chilloni invece è una giornalista de La Voce di Reggio Emilia e di Reggio Sera. E’ anche consigliera comunale del Pd in un piccolo Comune, Cavriago, ad ovest del capoluogo. E’ un’atipica, nella minoranza Pd e quando la chiamo non racconta come nella maggioranza di essersi accorta solo oggi del fenomeno: “Omicidi e auto in fiamme me li ricordo dagli anni ’90, quando ho iniziato questo lavoro. Ma non se ne poteva parlare. Si è sempre detto che erano cose tra calabresi o frutto dell’autocombustione” – ride – “Solo che io sono anche giornalista. Non sono scema”. Così va a chiedere informazioni sul luogo dell’omicidio di Citro e si sente rispondere: “Vattene, dovrebbero sparare a voi…”. Ma è tranquilla. Il luogo è circondato dalla polizia scientifica. Poche ore dopo si sposta a Cadelbosco di Sopra dove alla richiesta di dettagli si sente rispondere: “Se continui a fare domande ti spacco la testa...”.

Mentre in Emilia tutto fluisce in questo modo da più di 30 anni, appare evidente l’inadeguatezza delle istituzioni locali. Ancora oggi come attività di contrasto alla ‘ndrangheta organizzano serate e conferenze sulla legalità e l’antimafia, da raccontarsi tra loro.

Come cantava l’artista punk Giovanni Lindo Ferretti in una canzone dei Cccp: “Teatri vuoti e inutili potrebbero affollarsi. Se tu ti proponessi di recitare te. Emilia paranoica.” Potrebbero. Ma è un condizionale. Nessuno delle istituzioni attribuisce al contesto emiliano, così configurato, un nome chiaro: ‘ndrangheta. L’Emilia non può essere raccontata in questo modo, non deve.
E’ finita da tempo la terra dei partigiani e dei padri nobili della democrazia. Con tutta la sua retorica.

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