Catalogna, la culla dello jihadismo legata alle monarchie del Golfo

di Lorenzo Vita

I centri islamici salafiti sono da anni al centro dei pensieri dell’intelligence spagnola, che considera questi luoghi come le vere centrali di reclutamento e di collegamento fra la radicalizzazione religiosa e il terrorismo. In Spagna, soprattutto in Catalogna, questi centri, moschee o centri culturali, non hanno smesso di crescere negli ultimi anni, creando una rete capillare ed estesa che ha sfruttato le larghe maglie della cultura progressista e liberale che il Regno di Spagna e la Generalitat de Catalunya per anni hanno voluto mostrare al mondo.

Adesso, dopo l’orrore di Barcellona e la strage sventata a Cambrils, ci s’interroga di nuovo su quanto sia stato fatto per analizzare, comprendere e fermare il fenomeno salafita in Spagna per evitare che tragedie  possano ripetersi. Purtroppo, va detto, quanto è stato fatto non basta. La politica ha spesso evitato di prendere atto dei grandi rischi cui si andava incontro con la leggerezza con cui si è lasciato spazio a queste correnti di pensiero e ai loro centri culturali, e oggi la Spagna paga un prezzo altissimo per un fenomeno che cresce e che non è stato fermato in tempo.

In Catalogna esistono circa 260 moschee. Di queste 260 moschee, almeno secondo quanto riportato dalle fonti dell’intelligence spagnola che da anni analizza il fenomeno jihadista in Spagna, molte sono legate a organizzazione internazionali più grandi che formano delle vere e proprie reti che collegano l’islam della comunità catalana con il resto del mondo arabo, nordafricano e orientale.

In particolare, quello che preoccupa l’intelligence iberica, è il ruolo svolto dalle affiliazioni con il movimento marocchino di Giustizia e Carità, con i Fratelli Musulmani, con l’organizzazione salafita Jama-at- al-Tabligh Wal Dawa e con il movimento pakistano Dawat-e-Islami. Sono movimenti radicali, generalmente conservatori, che a fronte di una non esplicita minaccia per la sicurezza degli Stati, hanno al loro interno persone che sono sostanzialmente legate al mondo dello jihadismo e del proselitismo di matrice salafita. Ideali che contrastano con il sistema legislativo spagnolo ed europeo, ma che la Catalogna ha lasciato entrare e prosperare all’interno della propria regione a fronte di una mancata percezione di una minaccia esplicita.

Secondo il quotidiano spagnolo La Razon, uno dei centri più importanti di questo universo radicale islamico della Catalogna si trova nella comunità della provincia di Tarragona, il cui nucleo principale è la moschea di Reus, a poca distanza proprio dalla cittadina di Cambrils. Più a nord, a Lleida, l’Unione e la Cooperazione islamica di Lleida e Comarca ha come centro principale la moschea Ibn Hazem, moschea nota alla cronaca perché i suoi leader sono stati considerati responsabili della distribuzione dei libri di matrice salafita nelle macellerie islamiche della città. Un terzo obiettivo delle indagini dell’antiterrorismo spagnolo è la Comunità islamica di Salt, al cui interno si trovano i più importanti predicatori della provincia di Girona, a pochi chilometri dal confine con la Francia. Una rete capillare, dunque, estesa su tutto il territorio della regione e non soltanto nella grande città o nelle periferie, ma presente ovunque vi sia una comunità in grado di sostenerla. Ed è proprio a questa estensione che il salafismo in Catalogna cresce attraendo sempre più giovani, immigrati ma anche non immigrati, che vedono in questa perversione dell’islam una possibilità di riscatto rispetto ad una vita sostanzialmente incapace di soddisfarli.

Nell’espansione del radicalismo islamico in Catalogna, non va inoltre dimenticato il ruolo fondamentale che hanno avuto i più grandi centri di finanziamento di questo mondo, ovvero le monarchie del Golfo Persico. Con una menzione speciale per il Qatar, per quanto riguarda la Catalogna. E proprio da qui, secondo l’intelligence spagnola, arriva la maggior parte dei fondi per finanziare lo jihadismo in territorio iberico, da Qatar, Arabia Saudita e Kuwait: fondi privati che attraverso donazioni da milioni di dollari supportano l’espansione del salafismo e il reclutamento di giovani terroristi attraverso la rete di imam e predicatori legati alle scuole arabe e del Golfo.

Gli esempi non mancano per comprendere come avviene questo “mecenatismo” del fondamentalismo islamico. A Madrid, la cosiddetta Mezquita de la M-30, è un gigantesco edificio di 12mila metri quadrati su sei piani finanziato quasi interamente da denaro saudita. Ispirato all’Alhambra di Granada, l’edificio ha al suo interno un museo, una biblioteca, sale di lettura e di preghiera, ristoranti e bar. Un vero e proprio tempio del wahabismo, inaugurato dall’allora re Juan Carlos in pompa magna. E se a Madrid sembra che i sauditi abbiano preso il sopravvento nel radicalismo, a Barcellona è il Qatar ad avere la meglio. L’emirato di Doha ha intenzione, entro il 2020, di costruire almeno un centinaio di moschee in tutta la Spagna, con il fulcro principale a Barcellona e con uno sviluppo capillare in tutte le città vicino ai grandi centri urbani, considerati le vere fucine dell’islam in territorio spagnolo. Una pianificazione inquietante che, se unita al dilagare del salafismo e all’esplodere del terrorismo, mostra come l’Europa, prima ancora che la Spagna, possano trasformarsi in terreno di guerra non solo fra terroristi e innocenti, ma anche fra i loro stessi finanziatori.

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