#hosposatounmusulmano. Italiana prigioniera del marito in Marocco “Aiutatemi”

Qualche riflessione dopo aver guardato il video.

Molti di voi ricorderanno certamente la polemica nata dopo l’articolo pubblicato su Libero dal titolo perché le donne italiane non devono sposare i musulmani.

Un coro di indignazione si è levato in difesa dei matrimoni misti e un gruppetto sparuto di donne  italiane, sposate con uomini di religione musulmana, ha firmato una lettera aperta al quotidiano Libero, sull’onda della campagna #hosposatounmusulmano lanciata dalla giornalista  Laura Silvia Battaglia, che ha sposato uno yemenita.

Hanno scritto per far sapere che quella che altri ritengono una follia, per loro è “un motivo di crescita e di conoscenza. La diversità per noi non significa essere migliori o peggiori, vuol dire vivere l’essere differenti come una ricchezza e non come un ostacolo”.

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Armando Manocchia: Mogli e buoi dei Paesi tuoi

Sempre più donne e uomini sposano partner di culture diverse. Il nostro – spiega Armando Manocchia – è un invito ad informarsi per chi intende sposare un partner non occidentale.

Il matrimonio al di là che venga definito in tantissimi modi e sul quale si mobilitano scienziati ed esperti da tutto il mondo sui quali fanno infinite conferenze, convegni e studi, da un punto di vista civile, non è altro è un contratto concluso fra due persone consenzienti e decise a intraprendere un cammino in comune, di principio valevole per tutta la vita. Non si tratta tuttavia soltanto di un contratto di Diritto privato, perché la dichiarazione degli sposi davanti al funzionario dello Stato Civile che li unisce in matrimonio, dà vita ad un’istituzione giuridica che obbedisce a regole proprie e che vincola le libertà personali degli sposi stessi.

Come recita un luogo comune:“moglie e buoi dei paesi tuoi”, anche ogni matrimonio comporta le sue problematiche, specialmente quelle legate alla nazionalità, in particolare alla religione, usi, costumi e tradizioni, del partner. Per limitare quanto possibile le difficoltà, a cui domani si potrebbe andare incontro, è indispensabile che i futuri sposi s’informino bene prima del matrimonio, per sapere chiaramente quali sono i loro diritti e i loro doveri reciproci e accettare liberamente di assumerli, con coscienza di causa e in buona fede.

Il dovere d’informarsi in vista di una libera accettazione dell’altro è essenziale per qualsiasi coppia e le difficoltà aumentano in modo esponenziale quando i due coniugi appartengono a culture differenti. È per questo motivo, che i futuri sposi – spiega Manocchia – dovrebbero prendersi tutto il tempo necessario per riflettere sul matrimonio in modo indipendente, in coppia e magari con una persona di fiducia, al fine chiarire gli aspetti delle differenze e trovare un’intesa pre-matrimoniale.
Non è solo utile, ma addirittura raccomandato, un soggiorno del partner italiano nel Paese d’origine dell’altro, prima del matrimonio.

Dobbiamo comunque dire – continua Armando Manocchia –  che non è sempre facile farsi una chiara idea degli usi e costumi locali, soprattutto se non si conosce la lingua, e soprattutto quando tutto è filtrato attraverso ‘gli occhi del cuore’ (della persona innamorata), i quali ‘fanno vedere tutto bello’, anche indipendentemente dalla realtà. È inoltre difficile farsi una chiara idea della realtà di vita negli altri Paesi, quando si ignorano le Leggi locali.

In modo particolare è difficile farsi un’idea della vita nei Paesi islamici, le cui leggi sono basate sulla ‘Shari’a’, un sistema politico-sociale in rilevante contrasto con quello a cui si è abituati (se si viene ‘dal mondo occidentale’, a cui l’Italia, anche se ancora pare per poco, pare appartiene).

In certi Paesi inoltre, restano vive pratiche ‘tradizionali’, anche se esse sono state considerate illegali dalla Legge ufficiale (pensiamo per esempio alla mutilazione genitale femminile, o a determinati usi e costumi legati al concetto d’onore). Anche se una persona si informa delle Leggi ufficiali, non può dunque ancora dire di ‘conoscere bene le Leggi del luogo’.

Farsi un’idea chiara della ‘differenza culturale’ esistente fra sé e il partner è dunque difficile, e la difficoltà aumenta a causa del fatto che ‘si è innamorati’. L’innamoramento è quasi uno stato confusionale che certamente non consente, a chi ne è felicemente affetto, di vedere e di valutare ‘le circostanze’ in modo razionale: l’emotività e il sentimento hanno il sopravvento.

Lo Stato e le Istituzioni a mio avviso, – conclude Armando Manocchia – avrebbero, se non l’obbligo, almeno il dovere, il compito, magari attraverso gli uffici d’Anagrafe o i funzionari di Stato Civile, di attirare l’attenzione dei futuri sposi, su alcune norme giuridiche e alcuni costumi sociali presenti fra gli stranieri ed in particolare gli islamici, che differiscono da quelli conosciuti in Italia, in modo da aiutare le persone che intendono contrarre un matrimonio bi-culturale, orientandole. In modo che possano rendersi conto della ‘sostenibilità’ o meno dell’unione. Questi Uffici dovrebbero rilasciare ad entrambi i partners una lista di queste ‘differenze culturali’, e lasciare che i partners le analizzino attentamente, prima di procedere alle formalità del matrimonio. Questo modo d’informare è utile alla prevenzione di evitabili conflitti, in accordo con l’adagio “moglie e buoi dei paesi tuoi” e soprattutto: “uomo avvisato mezzo salvato”.

Armando Manocchia @mail

 

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