Kenya, chiudono i campi profughi: in 500mila verso l’Italia

 

I profughi somali non saranno più accolti in Kenya. Lo ha annunciato qualche il governo di Nairobi. “Il governo della Repubblica del Kenya, prendendo in considerazione i propri interessi per la sicurezza, ha deciso che l’accoglienza dei profughi deve finire”, si legge in un comunicato del ministero dell’Interno.

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Ai nuovi richiedenti asilo non verrà più concesso lo status di rifugiato e il governo si adopererà per espellere quanti si trovano già nel Paese. Al momento il Kenya ospita circa 550.000 profughi e rifugiati nei due campi di Kakuma e Dadaab, i più grandi al mondo. “Il messaggio è chiaro, chiuderemo i campi e non accetteremo altri profughi nel Paese”, ha detto il portavoce del ministero dell’Interno, Mwenda Njoka, precisando che le nuove norme riguardano in particolare i somali, ma potrebbero essere applicate anche ai profughi provenienti da altri Paesi: “Quelli problematici sono i somali. Sono quelli con cui inizieremo”.

L’Italia corre il serio rischio di trovarsi tra agosto e settembre al centro di una migrazione dai contorni biblici. IL GIORNALE

Si parla di almeno mezzo milione di persone in viaggio dalla Libia verso le coste italiane. L’allerta è stata lanciata dal ministro degli Esteri dell’Uganda Kirunda Kivejinja e trova conferme in uno studio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. «La chiusura dei campi profughi in Kenya provocherà l’arrivo nel Mediterraneo, e soprattutto in Italia, di almeno 600mila persone entro pochi mesi».

A destare preoccupazione è la decisione del governo del Kenya di chiudere i campi profughi di Dadaab e Kakuma, i più grandi al mondo, che ospitano centinaia di migliaia di rifugiati somali e sudanesi. La decisione è stata condannata dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani e per i rifugiati, sia interne che internazionali, ma il presidente keniota Uhuru Kenyatta non sembra in vena di ripensamenti. Il campo di Dadaab, che ospita circa 350mila rifugiati provenienti dalla Somalia, è ritenuto un rischio per la sicurezza del Kenya, che teme l’infiltrazione di estremisti islamici di Al Shabaab e il contrabbando di armi.

«Con la chiusura dei campi, migliaia di disperati percorreranno la rotta a nord verso la Libia – continua Kivejinja – tra loro ci sono decine di jihadisti. Il Kenya lo sa bene e non vede l’ora di sbarazzarsene». L’altro campo, quello di Kakuma, ospita oltre 220 mila persone, prevalentemente in fuga dalla guerra civile che si sta consumando nel Sud Sudan. Le rivelazioni del ministro degli Esteri ugandese fanno il paio con il recente studio dell’Unhcr, secondo il quale l’Italia ha soppiantato la Grecia nel triste record di sbarchi, e la situazione è destinata a peggiorare.

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Islamizzazione forzata in Kenya, cristiani fuggiti

E’ passato un anno dal massacro all’Universita’ del Kenya di Garissa, per mano dei ribelli islamisti somali di Al-Shabab: 147 studenti sono stati massacrati nell’ateneo, la maggior parte di loro cristiani. I terroristi hanno distinto musulmani e cristiani, e questi ultimi sono stati assassinati.

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Tommy Simmons, fondatore di Amref Italia, e’ a Garissa per partecipare alla cerimonia di commemorazione delle vittime. Amref svolge attivita’ di sostegno sanitario e all’istruzione con numerosi progetti. Ma a un anno dal massacro, il risultato e’ stata un’islamizzazione forzata di tutta l’area, anche se va sottolineato che Garissa e’ sempre stata a maggioranza musulmana, ma dove la convivenza e’ sempre stata possibile, oggi i cristiani sono tutti fuggiti.Il risultato e’ una sostanziale pulizia etnica – ci spiega Simmons – del territorio. Anche il nostro personale locale, oggi, e’ somalo e musulmano”. Tutto il personale non musulmano ha lasciato la contea. Vi e’ una carenza di 800 insegnanti, e un numero non precisato di personale sanitario. “Proprio a seguito degli attacchi di Al-Shabab – continua il fondatore di Amref -, nelle zone piu’ remote verso il confine con la Somalia, i cristiani sono stati costretti a scappare, insegnanti, studenti, personale sanitario. C’e’ stata una sorta di omologazione della societa’”.

Muoversi, inoltre, e’ diventato difficile, gli spostamenti sono pericolosi proprio per la minaccia islamista. “Spostarsi agevolmente – ci spiega Simmons – se non sei musulmano e’ difficoltoso“.

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