Panama Papers, l’obiettivo è Putin

 

putin

La gestione giornalistica dei cosiddetti “Panama Papers” sta mettendo in luce che l’obiettivo principale dell’intera operazione è chiaramente il presidente russo Vladimir Putin. Si parla di giornalismo di inchiesta che ha tolto il velo sul ruolo delle società offshore di Panama e che ha messo in evidenza le magagne fiscali di migliaia di persone e la corruzione di molti capi di Stato. Eppure questo modo di nascondere capitali neri e spesso sporchi è in voga da decenni.

Ad esempio, quante società panamensi hanno costituito le banche svizzere per evitare che i loro clienti non residenti nel nostro Paese non pagassero l’euroritenuta sui redditi da interessi? Moltissime. E quanti trust, Anstalt del Liechtenstein e società nei paradisi fiscali sono state create nei decenni per celare gli aventi diritto economico di cospicui patrimoni? Moltissimi. Era ed è un segreto di Pulcinella che non è mai stato perseguito né dalle nostre autorità di sorveglianza (FINMA) né da quelle di altri Paesi.

Ora viene alla luce una lunga lista che risale fino a quaranta anni fa dei personaggi noti e meno noti che hanno fatto uso delle società panamensi. C’è quindi da domandarsi chi sia riuscito ad entrare nel sistema informatico dello studio legale panamense Mossack Fonseca per sottrarre 11 milioni di documenti per poi passarli ad un quotidiano tedesco. E’ legittimo sospettare che si sia trattato di un’operazione di servizi segreti molto probabilmente americani, che come ha rilevato Edward Snowden, riescono ad avere accesso a conversazioni telefoniche e files di chiunque.

Se vi è ragione di dubitare che questo affare conduca a mettere alle corde l’evasione fiscale, la corruzione e il malaffare (lo si sarebbe potuto fare già da tempo), vi è da chiedersi quale è l’obiettivo dell’intera operazione. Il nome che emerge è quello di Putin e l’obiettivo è quello di metterlo in difficoltà dopo l’indubbio successo conseguito grazie all’intervento in Siria. E questo obiettivo sembra ancora più evidente dopo la decisione americana di trasferire una squadriglia aerea in Islanda per proteggere in Paesi baltici e dopo il prossimo dispiegamento nell’Europa orientale di un contingente di 2’500 soldati americani allo scopo di proteggere questi Paesi da un possibile intervento militare russo.

Queste mosse ufficiali di Washington mostrano che vi sono ambienti americani che vogliono ricreare un clima di guerra fredda. Non è escluso che nei corridoi dei centri di potere statunitensi sia in corso un confronto sulla politica estera (e quindi anche militare) americana. Vi è infatti, da una parte, il segretario di Stato John Kerry, che stringe accordi con Mosca sulla Siria, vi è, dall’altra, il capo delle forze NATO in Europa, che parla della minaccia russa. E vi è soprattutto un Presidente americano fortemente ostile a Putin.

Tutto ciò induce a ritenere che vi siano forti dissensi a Washington sia sulla politica da seguire in Vicino Oriente sia sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Russia di Putin. Non è quindi da escludere che la diffusione dei Panama Papers faccia parte di questo confronto. E questa è probabilmente la chiave di lettura di quello che viene “venduto” come un grande successo del giornalismo d’inchiesta. Fanno inoltre sorridere le dichiarazioni di coloro che ritengono che questo scandalo permetterà progressi nella lotta contro il malaffare. In proposito basta ricordare che Panama è un protettorato americano. Gli Stati Uniti alcuni decenni orsono hanno invaso Panama per rimuovere il generale Noriega. Quindi, se Washington volesse veramente, non avrebbe alcuna difficoltà ad imporre la chiusura del paradiso fiscale che è Panama, così come di altri centri offshore. Se non lo fa, è perché anche agli Stati Uniti questi paradisi fiscali fanno comodo.

Alfonso Tuor | 6 apr 2016  —  TicinoNews

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