Vedova Failla: «Uno dei sequestratori mi chiamò e parlò in italiano»

 

«Ciao sono Salvo, i miei compagni li hanno portati via, io sono rimasto da solo e ho bisogno di cure mediche, ho bisogno di aiuto. Parla con giornali e tv, vedi di muovere tutto quello che puoi muovere».

Le drammatiche parole di Salvatore Failla, uno dei due ostaggi ucciso in Libia, risalgono al 13 ottobre quando i rapitori hanno fatto ascoltare a Rosalba, sua moglie, una registrazione del marito. Non era vera la separazione dagli altri tre ostaggi italiani, ma Rosalba rivela: «Uno dei sequestratori mi chiamò e parlò in italiano».

FAILLA

La figlia Erica, 23 anni, rincara la dose: «Non ci hanno aiutato a riportarlo a casa. Ci hanno detto di stare zitti, di non fare scalpore. Ci hanno detto di non rispondere alle domande dei rapitori. Abbiamo fatto quello che ci hanno chiesto, ma non è servito a nulla. Adesso è ancora in mano ai libici, lo Stato non lo ha tutelato nemmeno dopo morto?».

La vedova di Failla fa sapere a il Giornale «me lo hanno ucciso la seconda volta». La frase lapidaria riguarda l’autopsia eseguita a Tripoli, che la donna e il suo avvocato assolutamente non volevano temendo un inquinamento delle prove. E il rientro ad ostacoli del corpo del marito e di quello del suo collega, Fausto Piano, che non fa onore all’Italia. Per questo la vedova annunica di rifiutare i funerali di Stato.

Lo stesso ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni ha parlato «di modalità penose» dimostrando l’impotenza italiana nel caos libico. Le salme erano attese la scorsa notte a Ciampino.Ieri l’Unità di crisi della Farnesina ha continuato a rassicurare i familiari delle vittime su «un’ispezione esterna dei corpi», ma veniva smentita da Sidikj Al-Sour, responsabile delle inchieste della procura generale di Tripoli. «Non è un’autopsia superficiale ma completa per poter estrarre, se c’è, il proiettile dai corpi e determinare il tipo d’arma che ha causato il decesso» dichiarava all’agenzia di stampa Ansa.

Secondo la figlia di Failla «la Farnesina ha riferito che sono stati costretti a darli i corpi per l’autopsia perché hanno puntato le armi alla testa dei rappresentanti italiani che sono attualmente in Libia». I libici vogliono stabilire la modalità dell’«esecuzione», con tanto di colpo alla nuca, più volte annunciata dalle autorità locali puntando il dito contro i sequestratori. La sequenza fotografica, in possesso de il Giornale, dell’imboscata nel deserto del mini convoglio con gli ostaggi italiani, racconta una storia diversa. I corpi dei connazionali non mostrano alcun colpo alla nuca. Altrimenti i volti non sarebbero rimasti integri. Il cadavere di Failla è disteso a fianco di un fuoristrada blu con le portiere aperte. Finestrini, carrozzeria e parabrezza appaiono intatti. Se gli assalitori della katiba «Febbraio al Ajilat-2» avessero sparato subito dovrebbero esserci i segni evidenti di fori di proiettile o schegge di vetro.

L’impressione è che gli ostaggi ed i loro carcerieri a bordo del mezzo intatto fossero scesi per arrendersi, ma sono stati falciati lo stesso. I miliziani nelle prime ore sostenevano sulla loro pagina Facebook di aver ucciso «due jihadisti italiani» non immaginando a causa dei barboni lunghi, che fossero gli ostaggi. Il fuoristrada blu è stato dato alle fiamme dopo l’attacco, forse per cancellare le prove. Assieme ai corpi degli italiani sono stati trasferiti ieri a Tripoli i cadaveri dei miliziani jihadisti uccisi nello stesso convoglio. Sette tunisini compresa una donna, che potrebbe essere Madeeha Azima Mahmoud, moglie di Noureddine Chouchane, il terrorista vissuto in Italia e colpito dagli americani nel raid del 19 febbraio a Sabrata.[…]

Fausto Biloslavo   – –  IL GIORNALE

 

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