Family Day: che pena infinita la guerra dei numeri dei ragionieri di regime

 

Ci stiamo scannando sui numeri. Che profonda tristezza. Sulla moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei militanti. Chi strilla al miracolo – del resto, nelle correttissime lande del progresso sono avvezzi a farlo, parola di Santa Laura Boldrini da Macerata – chi alla miopia. Quanto questo potrà servire alla causa comune?

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I ragionieri del regime, poi, che pena. In più di dieci anni, il Circo Massimo si è rimpicciolito e poi ingrandito, poi rimpicciolito poi ingrandito. Se vince lo scudetto la Roma o i sindacati portano in piazza i loro tesserati, nella fattispecie contro Berlusconi o a sostegno del PD, il Circo Massimo, struttura a geometria variabile, può contenere dai 3 milioni ai 18 milioni di individui, giochi gladiatori, eliporti e fossili di Mammut.

Se ci arriva il Family Day – o qualsiasi altra manifestazione dell’ “opposta fazione” – il Circo può contenere al Massimo 45 persone, come la sede di un’associazione culturale di Garlasco. Che pena, signori. Al di là delle effettive partecipazioni. Che pena vedere che in fondo, la paura si basa sui numeri, che la barocca ed immatura italietta non aspettava altro che questo, gossip sterilissimo da trasformare in battaglia civile e storica, in tesi. Ecco il confronto. Ecco il progresso, ecco la modernità.

Per non parlare dei commentatori di regime, quelli che hanno l’ufficio accanto alla contabilità, primo piano con poltrone in pelle umana. Costoro, ancora peggio. Quelli per cui nella sempiterna diatriba – che solo alla notte dei tempi verrà risolta – tira più un carro di buoi, quelli apparentemente superiori a questo mondo così imperfetto, gli unti, gli eletti. Un nugolo di battutine e battutelle. Come fossero tutti candidi e puri da poter scagliare sempre la prima pietra – povero Nostro Signore che non poteva proprio immaginare che ai nostri tempi chiunque sarebbe stato pieno di pietre in tasca… -.

Beh, signori, anche qui una pena colossale, o meglio circense. I calcoli, pazzesco. Come La Stampa, che si mette a ragionare sulle grandezze con tanto di immagini – vedere per credere -, strutturando il pezzo dissacratore in micro capitoli: quanto è grande l’area? Quale densità? In piedi o seduti? E poi le famigerate variabili: la variabile delle strade limitrofe e quella delle strade di accesso. Ed infine per confutare la strategia stregonesca del Family Day, arriva “il precedente” : “ma il precedente più interessante è un altro. Nel video – annesso al pezzo – qui sotto si vede la folla al concerto dei Rolling Stones nel giugno del 2014. Perché è interessante? Perché quella volta si pagava. Il prato era strapieno ed erano stati venduti 71mila biglietti”

Insomma ancora una volta la miseria italiana viene a galla, come un pranzo mai digerito, indigesto e schifosissimo. Tra tiritere tristissime ed improvvisate – secondo cui un individuo sano e sereno che nella sua unica esistenza si è separato o risposato o che abbia preso una sbandata, insomma che non sia proprio San Benedetto da Norcia, debba essere un infame caimano, eretico che non doveva né dovrebbe mai andare al Family Day per coerenza, come se un tizio che non abbia pagato una bolletta nell’ultimo mese debba essere un inguaribile truffatore, sempre per coerenza -, numeri e miracoli, alieni e contraddizioni, il fango di regime torna sempre a galla, a grossi tocchi.

Attaccarsi ai numeri per non potersi attaccare altrove…?

Ai postumi (di questa sbronza) l’ardua sentenza

dal blog di Emanuele Ricucci  – – il Giornale

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