La necessità di superare il capitalismo

 

Quando si discute su delle ideologie è necessario essere pronti a ricevere insulti o critiche di ogni genere, lo scopo di questo articolo non è però esclusivamente quello di polemizzare o criticare ma vorrebbe avere uno scopo costruttivo, quello di riflettere su qualcosa di nuovo.

capitalismo

E’ necessaria però una premessa: chi scrive non è ideologicamente statalista (quindi comunista, socialista, populista, corporativista o fascista) e neppure filo-capitalista (quindi liberale, neo-liberale, libertariano o anarco-capitalista). Chi scrive ha scritto un modesto trattato politico, Libertà Indefinita, il cui scopo è quello di proporre un sistema che fornisca agli individui il massimo potere possibile, quindi la massima e ottimale distribuzione del potere. Questo per farvi capire che sono ostile a qualsiasi eccessiva concentrazione del potere sia statalista che capitalista. Concentrazione del potere che inevitabilmente porta qualcuno, definibile tranquillamente come parassita, ad ottenere dei pasti gratis sulle spalle degli altri, sia nello statalismo che nel capitalismo (eh si).
Seconda premessa: capitalismo ed economia di mercato non sono assolutamente la stessa cosa. Anche se il dibattito politico ed economico ci ha abituato a considerare il capitalismo e l’economia di mercato come identici e di conseguenza a considerare i nemici dell’uno come i nemici dell’altro, non è assolutamente così. E’ vero, viviamo in una economia di mercato basata sul capitale privato, ma il mercato esisterebbe anche senza la fossilizzazione della ricchezza, cioè senza il capitale. Ad esempio, immaginate chi vende semplicemente il suo lavoro come un decoratore o un qualsiasi professionista, esso si può gettare nel mercato semplicemente vendendo il suo tempo, il suo lavoro e l’economia di mercato funzionerebbe anche senza capitale, regolando il prezzo del tempo di ogni lavoratore. Il capitale fornisce, invece, un vantaggio a chi lo possiede potenziando il valore del proprio lavoro (il capitalista guadagna molto di più di quanto effettivamente merita grazie al fatto di possedere una rendita sul proprio capitale), quindi meno è rilevante il capitale in economia più paradossalmente l’economia di mercato funziona al meglio senza distorsioni e come dimostrato da Piketty, le epoche di maggior crescita sono quelle in cui il capitale conta di meno, invece le epoche di crisi sono quelle in cui il peso del capitale è più schiacciante. Su questo punto possiamo parlarne per giorni, ma la mia seconda premessa è in sintesi: non confondete economia di mercato con capitale, sono due cose distinte. Io sono favorevole al primo, meno all’eccesso del secondo.

Fatte queste doverose premesse passiamo alla riflessione di oggi sul capitalismo. Tre fatti mi hanno spinto a scrivere questo articolo:

1) In questi giorni di alti e bassi borsistici, mentre torno a casa dal lavoro, sento il notiziario della radio enunciare: rimbalza il petrolio, crescono le borse. Io che sono appassionato di economia, sono consapevole che il prezzo è in fondo un misuratore della scarsità (più una cosa costa, più è scarsa, più è difficile da ottenere). E quindi ho capito una cosa, il nostro sistema rappresentato dalle borse (ormai divenute più importanti dell’economia reale) festeggia quando aumenta la scarsità. Questo deve palesare la perversione del nostro sistema che ha bisogno di penuria, scarsità, povertà per sopravvivere. Qualsiasi naturale e normale comunità del passato, festeggiava un buon raccolto, una buona annata e si rattristava nel caso questa non si verificasse. Ora è il contrario, qualsiasi evento naturale e non, creasse penuria di una materia prima, il nostro sistema festeggerebbe. Quindi prima riflessione: chi possiede questo sistema ha uno scopo diverso dal 99% della popolazione: loro vogliono più scarsità, più povertà; noi vogliamo ricchezza, abbondanza. Siamo inesorabilmente contrapposti.

tunisia2) In Tunisia sono scoppiate rivolte diffuse. Stavolta non si chiede niente di politico o religioso, ma qualcosa di semplice: lavoro e quindi un reddito per sopravvivere. Grazie alla strategia della terra bruciata dell’ISIS il paese è travolto dalla disoccupazione e la gente è costretta a scendere in piazza. E non si fermerà perché ormai non ha più nulla perdere. E dobbiamo abituarci alle rivolte causate dalla disoccupazione perché diverranno una costante in quella che ho chiamato in altri miei articoli, transazione post-capitalista. Disoccupazione che è ormai cronica perché la deflazione tecnologica ha intrapreso un andamento esponenziale ed ogni nuova innovazione provoca del nuovo lavoro ma anche molta disoccupazione; pensiamo a molte app che semplificano la vita, o a internet per non parlare dell’imminente automazione della guida che potrebbe creare decine di milioni di disoccupati tra taxisti, autisti e camionisti. Deflazione tecnologica che provoca disoccupati, che a loro volta provocano instabilità che provoca ulteriori disoccupati in una spirale che tende a cronicizzarsi. Ma il problema sono le nuove tecnologie? Assolutamente no, è sbagliato pensare che fermare la tecnologia ci salverà dalla disoccupazione, il problema non è quello, il problema è che la deflazione tecnologica provoca abbondanza, fornisce più ricchezza con meno lavoro e questa abbondanza non riesce a strutturarsi come vantaggio collettivo: da una parte ci riesce, come vantaggio per i consumatori dall’altra no perché diminuisce i lavoratori, quindi il reddito. Il nostro sistema è attualmente incapace di risolvere questo problema che come abbiamo detto ormai è cronico e può solo peggiorare.

3) Il buco di Onitsha: per chi non lo sapesse, questo buco è la massima rappresentazione della paradossalità del capitalismo. Il giornalista polacco Ryszard Kapuscinski nel suo libro Ebano, descrive l’esistenza a Onitsha, in Nigeria, di un buco sulla strada principale. Questo buco inevitabilmente danneggiava il mezzo di chi passava che così era costretto ad essere salvato, il suo mezzo riparato, doveva passare la serata nel paese in attesa della riparazioni, attorno a questo buco si era quindi creata tutta una economia che era dipendente dall’esistenza del buco quindi un male che creava economia ed infatti gli abitanti si sono sempre rifiutati di ripararlo. Anche Charlie Chaplin nel film il Monello, fa rompere i vetri al suo ragazzino per poi andarli a riparare. Questo vuol dire che il capitalismo oltre che della scarsità, ha bisogno del danno, del problema, della malattia. Per funzionare il capitalismo ha bisogno del male. Quindi, una ulteriore perversione, un sistema che non vuole soluzione, irrimediabilmente in crisi.

Questi tre punti mi hanno spinto a lanciare questa riflessione. Il capitalismo è un sistema che ha funzionato abbastanza bene in situazioni come abbiamo vissuto fino ad ora, in situazioni di scarsità. Il capitalismo è il regime economico probabilmente ideale nel gestire la scarsità. Ma ora si sta sviluppando una singolarità storica, economica, politica e sociale cioè l’avvento dell’abbondanza. Tutto è in cronica sovrapproduzione dai servizi, ai prodotti, agli immobili ma il regime capitalista, appunto basato sulla scarsità, sta dimostrando di essere incapace a distribuire l’abbondanza. E questo care lettrici e lettori, è il punto fondamentale del nostro secolo: il capitalismo è totalmente inadeguato nel gestire e distribuire l’abbondanza. Scrivetevelo da qualche parte, perché questa sarà la problematica costante di questa transazione post-capitalista. Attualmente riesce parzialmente a sopravvivere perché diversi settori sono bloccati, altrimenti l’abbondanza avrebbe fatto crollare l’intero sistema: pensiamo alle malattie, dove le case farmaceutiche hanno sicuramente molte cure a diverse malattie; oppure pensiamo al settore petrolifero, è praticamente ovvio che esistano sistemi per creare energia pulita e a bassa costo, ma se crollasse questo settore finiremmo immediatamente in una crisi enorme. O pensiamo anche a tanti altri settori esistenti che potrebbero essere eliminati o fortemente ridimensionati con semplici migliorie organizzative come i notai, i commercialisti, moltissimi dipendenti statali e via dicendo. La nostra civiltà attualmente potrebbe liberare moltissima ricchezza e risolvere moltissimi problemi, ma non può, perché crollerebbe il regime dominante capitalista. Al tempo stesso, la deflazione tecnologica è, nonostante tutto, irrefrenabile e sta travolgendo diversi settori e la disoccupazione non potrà che crescere. Il sistema deve essere superato, altrimenti ci infileremo in un periodo di crisi costante senza via d’uscita. La riflessione che dovremmo iniziare è quindi questa: Come creare un sistema che sappia gestire l’abbondanza in una economia di mercato? Come creare un sistema post-capitalista evitando una eccessiva concentrazione di potere nelle mani dello stato? Per fortuna il socialismo reale è già storicamente avvenuto e ne siamo immunizzati, ora però dobbiamo superare il capitalismo per noi e per le future generazioni.

Giuseppe Cirillo – – HESCATON

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