USA, l’economia sprofonda: ripristino della Glass-Steagall per impedire un altro crac

Martin-OMalley

 

Come rileva sul n.13 l’agenzia Eir, l’ex governatore del Maryland Martin O’Malley, probabile candidato alla nomina presidenziale democratica nel 2016, ha intensificato la sua campagna per la separazione bancaria. Dopo un comizio nello Iowa, stato in cui tradizionalmente si tiene la prima gara nella corsa alla nomina presidenziale, ha pubblicato un articolo sul principale quotidiano locale, il Des Moines Register, il 20 marzo, col titolo “Impedire un altro crac, riformare Wall Street”.

Nell’articolo O’Malley sottolinea che, secondo uno studio, il crac del 2008-2009 è costato ad ogni americano 120 mila dollari di salvataggi bancari. Il che significa che questi soldi non sono andati all’economia reale. Prosegue scrivendo che “la riforma strutturale più seria che possiamo fare è il ripristino del Glass-Steagall Act del 1933, che separava le banche commerciali dalle banche d’affari. Con la Glass-Steagall, il nostro paese non vide una grave crisi finanziaria per oltre 70 anni. Se questa legge non fosse stata abrogata nel 1999, il crac sarebbe stato contenuto”.

Infatti, oggi l’industria finanziaria ha 15.000 miliardi di dollari di titoli tossici, metà dei quali sono controllati solo da cinque banche. Sono semplicemente “too big” (troppo grandi per fallire), conclude O’Malley, ed una minaccia per l’economia.

Oltre alla Glass-Steagall, l’ex governatore delinea altre misure da prendere:

  • i manager delle banche devono poter essere puniti per comportamento fraudolento,
  • le persone nominate a capo degli enti di vigilanza e del Ministero della Giustizia devono essere disposte a perseguire coloro che commettono o consentono dei reati,
  • ed alle banche che pagano una penale per mettersi in regola non deve essere consentito di detrarre queste cifre dai propri guadagni, evitando così di pagare le tasse.

Niente di tutto questo accade ora. L’intervento di O’Malley è particolarmente importante, in quanto dichiara pubblicamente ciò che sa ogni americano: l’economia reale degli Stati Uniti, contrariamente a quanto affermano i media dell’establishment e le statistiche truccate, non si è ripresa dal 2008-2009. Saranno stati creati dei posti di lavoro, ma sono a basso salario, temporanei o part time. I livelli di vita non sono affatto migliorati, sono aumentate le disuguaglianze, in quanto l’1% della popolazione (i ricchi) possiede la stessa ricchezza del restante 90%. È aumentato anche il debito “corporate” per alimentare la bolla sui mercati e l’utile al netto delle imposte dei titoli tossici.

Il debito delle società finanziarie e non finanziarie è passato da un totale di 5.000 miliardi di dollari nel 2001, ad 11.000 miliardi nel 2009, arrivando a 15.000 miliardi di dollari alla fine del 2014. L’utile al netto delle imposte è passato dai 500 miliardi di dollari del 2001 a 1.400 miliardi di dollari nel 2009, per arrivare a 1.750 miliardi di dollari nel 2014. È un aumento medio di circa il 9% annuo per ciascuna categoria. Nello stesso periodo, le spese in conto capitale delle stesse corporations, l’acquisto di nuove attrezzature aziendali, strutture e software, è aumentato solo dell’1% annuo, dai 925 miliardi di dollari del 2001 ai 1.140 miliardi del 2014.

David Stockman, ex direttore del Bilancio sotto il Presidente Ronald Reagan, ha scritto recentemente nel suo blog “Stockman’s Corner”, che dall’inizio dell’anno fino agli inizi di marzo, le imprese americane hanno chiesto prestiti per 214 miliardi di dollari. Di questi, ne hanno spesi 128 miliardi per riacquistare le proprie azioni, e 21 miliardi solo per la fusione di una grossa società di informatica. Quindi tre quarti del debito contratto sono stati usati per alimentare la bolla sui mercati azionari, non per far crescere l’economia.

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