Riforme strutturali, ovvero: eliminare tutto ciò che attutisce “la durezza del vivere”

 

19 mar – «I giovani italiani sono bamboccioni», «le tasse sono bellissime». Queste amenità, pronunciate durante il secondo governo Prodi, di cui Tommaso Padoa Schioppa era ministro dell’economia, sono probabilmente l’unico lascito alla memoria collettiva di uno degli ideatori della moneta unica. Oltre a questo, poco rimane; qualche convegno alla memoria tra economisti iniziati, e l’impressione che il personaggio fosse una brava persona colpita da un’avversa sorte (è morto all’improvviso alla fine del 2010). Eppure, scrive Claudio Martini su “Mainstream”, Padoa Schioppa era ben altro. Era l’uomo che, nel 2003, sul “Corriere della Sera” scriveva: «Non restavano che le riforme strutturali, eterno ritornello di quelle che Luigi Einaudi chiamava le sue prediche inutili: lasciar funzionare le leggi del mercato, limitando l’intervento pubblico a quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dalla pubblica compassione».

Nell’Europa continentale, aggiungeva Padoa Schioppa, «un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora». Obiettivo, letteralmente: «Attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna».

In altre parole: cancellare le conquiste sociali del welfare europeo, secondo Padoa Schioppa, «degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato», abusando sostanzialmente della solidarietà pubblica elevata a sistema, al punto da rendere necessarie «coraggiose correzioni». Per Martini, si tratta di «un articolo sensazionale», perché regala «la sensazione che tutto fosse sempre stato chiaro, e che certi personaggi avrebbero dovuto essere combattuti, e non votati», specie da parte degli elettori di sinistra.

Parlando della storia delle relazioni commerciali franco-tedesche, Padoa Schioppa scrive: «La Germania aveva vinto per anni, decenni, combinando la superiore qualità dei suoi prodotti industriali (chi compra una Mercedes non bada al prezzo) con la superiore stabilità dei prezzi: le periodiche rivalutazioni del marco premiavano la combinazione ma vi contribuivano anche, perché proprio esse calmieravano i prezzi. La Francia, dopo la svalutazione del 1983, aveva preso la ferrea determinazione di fare “come e meglio della Germania”; un severissimo controllo dei salari accrebbe anno dopo anno la competitività favorendo la crescita». La descrizione del mercantilismo dei due paesi dimostra il radicamento nell’analisi: la competitività si conquista con la stabilità dei prezzi, e la stabilità dei prezzi si ottiene solo bloccando i salari o addirittura riducendoli, cosa che riesce meglio se al governo c’è un centrosinistra che, attraverso i sindacati, riesce a controllare la protesta.

Se però le cose si complicano, e alla fine degli anni ’90 sia la Francia che la Germania condividono la stessa condizione di precarietà, “non restano” che le micidiali “riforme strutturali”, che colpiscono la solidarietà sociale ristabilendo la legge del più forte, il darwinismo economico, “correggendo” quello che Padoa Schioppa definisce “pubblica compassione”.

Qui, osserva Martini, fa capolino l’idea che l’élite finanziaria e accademica ha dello Stato Sociale: una costosa manifestazione della pietà umana. Siamo di fronte ad «un paternalismo classista che fa accapponare la pelle», ma «il meglio deve ancora venire». In cosa consisterebbero, infatti, le “riforme strutturali”? «In genere, gli strani figuri che vediamo ossessivamente presenti sui teleschermi che le presentano come inderogabili e improcrastinabili, non si peritano di svelarci il loro contenuto, Padoa Schioppa invece lo fa». Obiettivo dei tagli: pensioni, sanità, mercato del lavoro, scuola. Fine ultimo: eliminare tutto ciò che attutisce “il contatto diretto con la durezza del vivere”.

«Non avevo mai incontrato in vita mia una parafrasi più cinica dell’intento di abbandonare le persone alla propria sofferenza», scrive Martini. «Qui siamo di fronte ad un deliberato progetto di saccheggio dei diritti e delle risorse dei ceti subalterni da parte dei ceti dominanti». Naturalmente, per rendere inevitabili le “riforme strutturali” era ed è necessario l’euro.

«La prossima volta che vi chiedono a cosa è servita la moneta unica, rispondete: per riavvicinare l’individuo al contatto diretto con la durezza del vivere». In altre parole, «per ritornare all’Ottocento». Questo, conclude Martini, «era l’uomo che i Bersani, i D’Alema, i Fassino e anche i Di Pietro, Diliberto e Bertinotti vollero ministro dell’economia nel 2006». Domanda: «Lo sanno, gli elettori di sinistra, di aver votato per Margareth Thatcher?». Sì, probabilmente in tanti lo sanno: «Infatti, sono sempre di meno». (libreidee)

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